Smarrito, spaesato, sradicato, l’essere umano contemporaneo si ritrova solo, appollaiato al bordo di una galassia che è una fra le migliaia di galassie di un Caos cosmico imperscrutabile e inafferrabile.
L’epoca delle passioni tristi ha scalzato quella delle grandi utopie che alimentavano la speranza delle masse e l’individuo scollegato è ormai preda della frammentazione neuroscientifica.
Che non ci sia qualcosa di salvifico in tutto questo terribile tormento? Che davvero siamo sulla soglia di una mutazione antropologica dagli esiti imprevedibili e imperscrutabili?
Che non ci si trovi finalmente dentro una nuova stagione dell’umanità liberata dal peso della caduta e dalle lingue di fuoco infernali del peccato per ritrovare i sentieri di una nuova innocenza, come cercò di rappresentarla il filosofo-teologo ispano-indiano Raimon Panikkar?
Amare il prossimo come se stessi, amare la terra come fosse il nostro corpo prolungato, mantenere il respiro di una vita che si rinnova continuamente, accarezzare il volto altrui, correre sui prati ad ammirare i gigli, inseguire con gli occhi le rondini, contemplare la storia lungo le navate del mondo come fossimo monaci senza abito, senza regole e...
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