Il giorno in cui i wingka mi tolsero tutto ciò che era la mia gioia cominciarono gli anni del dolore e delle botte. Mi trascinarono in un territorio triste, non c’erano aromi gentili, non c’erano boschi, ma alberi dall’ombra incerta che loro chiamano pini. Nessun uccello faceva il nido sui rami, nessun animale si muoveva ai piedi dei tronchi e perf...
wingka sono esseri dalle strane usanze, non provano gratitudine verso tutto ciò che esiste. Quando tagliano il pane lo fanno senza rispetto, senza ringraziare il Ngünemapu per questo cibo, e quando le loro bestie di metallo abbattono il vecchio bosco di sempre non sentono il dolore di lemu, né gli chiedono perdono per quello che fanno.
Avanzo così fra pelliñ, la quercia dal legno rosso, nguefü, il nocciolo dalle foglie fragranti, rewli, il faggio dalla corteccia dura come la pietra, foike, il sacro albero del cinnamomo che è sempre verde.
Quella piccola fibra di lana sa di legna secca, di farina, di latte e miele, di tutto quel che ho perduto. Allora, seduto sulle zampe posteriori, ululo con tutte le mie forze, ululo perché Aukamañ sappia che sono vicino e che sto andando da lui. Ululo perché la voce del dolore non si dimentica mai.
Mi stringe fra le braccia e nella lontana lingua della Gente della Terra mi dice che non mi ha mai dimenticato, che ha sempre saputo che un giorno sarei tornato da lui.
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